Conferenza cittadina sul teatro romano: tutti vogliono che i lavori comincino. Ma sul progetto le opinioni sono tante FOTO

TERAMO – Il rischio della democrazia partecipata è che quando i pareri sono discordanti, difficilmente si arriva ad una sintesi. E se il tema è un’opera pubblica attesa da un trentennio, come il recupero del teatro romano, il confronto con una platea di portatori d’interesse molto eterogenea rischia di ingessarla ancor più. La riflessione emerge dopo aver ascoltato le impressioni di chi ha partecipato – una cinquantina di persone – alla conferenza cittadina sul teatro romano, organizzata dall’Associazione culturale Demos, all’hotel Abruzzi, che in apertura ha ricevuto il saluto del sindaco Gianguido D’Alberto, accompagnato dal presidente della Commissione urbanistica Francesca Di Timoteo (in sala c’erano gli assessori Gigi Ponziani e Stefania Di Padova). Tanto per ribadire il detto ‘chi la vuole cotta e chi la vuole cruda’, nella decina di interventi è possibile tracciare un comune denominatore soltanto in due, o tre al massimo, di essi. Nella diffusa poca conoscenza delle ipotesi progettuali, è sembrato evidente che la maggioranza vuole che l’opera veda la luce. Ma per arrivare con decisione a dirlo, è servito l’intervento del noto libraio Antonio Topitti che, dopo voli pindarici su architettura e urbanistica, ha riportato tutti con i piedi per terra, confessando il timore che “il ripensare, l’analizzare e il discutere e ridiscutere, ci riporti al discorso di partenza, che farebbe più danni di ciò che fecero nel 2008 o nel 2009 quando stavano abbattendo Palazzo Adamoli e poi ce lo siamo ritrovati ricostruito e consolidato con infissi e fortificazioni. Non vorrei insomma che il teatro resti ancora per decenni come è stato fino ad oggi”. Il rischio, è bene dirlo, non si corre intanto perché il progetto preliminare il 28 marzo arriverà in consiglio comunale e poi perché, come hanno spiegato bene sia Michele Raiola e il professor Carlo Di Marco di Demos, il sondaggio deliberativo non incide sul primo stralcio già condiviso, quanto sulle opere e su cosa costruire o meno nelle fasi successive. “I cittadini finora non si sono espressi sul progetto – ha detto Di Marco – perché una cosa è illustrarlo alle realtà associative nella conferenza pubblica organizzata dall’amministrazione, e plaudiamo perché ciò sia avvenuto per la prima volta, un’altra è dare modo ai cittadini di partecipare in materia pregnante sulle due soluzioni progettuali che si sono profilati”. Demos ritiene necessario un passo in più rispetto alla partecipazione della comunità tutta, con uno strumento partecipativo particolare che evita l’articolazione di decine e decine di assemblee di quartiere, ad esempio, con una stagione partecipativa della durata di diversi mesi: “Il sondaggio deliberativo – ha spiegato Di Marco – può articolarsi nel giro di un mese o poco più”. Il percorso passa attraverso la formazione di un campione rappresentativo in collaborazione con la Cattedra di statistica dello sviluppo locale di Scienza Politiche a UniTe, la formazione dei tavoli di lavoro ai quali componenti vengono spiegati i progetti, per arrivare all’assemblea plenaria di chiusura, il 1° giugno, in cui a seguito del dibattito conclusivo si arriva all’espressione del parere popolare per alzata di mano. Intanto la platea si infiamma quando Nino Di Eusanio dell’Associazione Hypsis critica la presenza “delle solite facce”, “perché la città ha poco senso civico e non partecipa a queste riunioni”, ma che soprattutto invita a “ragionare con queste iniziative partecipative su altri problemi della città che devono ancora essere affrontati” e non sul teatro romano che è già avviato. “Perché non parliamo del recupero dell’ex mercato coperto di cui abbiamo appreso che il Comune sposterà il finanziamento e dove ci sono 30 imprenditori agricoli già pronti a costituire una bougerie?”. I teramani (quanti?) si dividono tra chi vuole far “emergere il monumento abbassando la quota di via Paris con pedonalizzazione o chi vuole affossare il teatro”, come ha sintetizzato Raffaele Raiola, presidente dell’associazione di volontariato “Teramo Città Solidale & Cittadinanza Attiva” che invita “a difendere il futuro del passato”, a “sfruttare il buon vento della nuova gestione della Soprintendenza e impedire ogni tentativo di concludere il percorso come espresso dalle migliaia di persone che si sono espresse sul progetto?”.
Maria Dea Bonolis e Antonietta Adorante, presidenti dei quartieri storici di Santa Maria a Bitetto e San Leonardo, ritengono che il quesito della conferenza, “non è stato posto bene”, perché se l‘idea è quella di "abbassare la quota di via Paris per finire in un ‘buco’, allora bisogna prevedere un piano per la città, una urbanistica in cui tutto il centro storico diventi pedonale, e che si riporti alla stessa quota poi tutti i resti romani che insistono sotto Teramo, come ad esempio in piazza Verdi”.
E che dire della edotta parentesi storica introdotta dall’ingegnere Domenico Di Baldassarre? “Di quello che vedete del disegno del progetto Bellomo non c’è niente – ha detto – , togliete tutte quelle cose colorate che la Soprintendenza ha annullato: la discussione potremo aprirla quando arriverà quello buono. Ma sapete cosa potrebbe venire alla luce tra Palazzo Salvoni e il piano romano? Non sappiamo cosa c’è in quei quattro metri? C’è un vuoto storico: abbiamo documenti del 1300 e prima? Nell’alto Medioevo quando sono arrivati i Longobardi risono messi come facevano all’interno del teatro e la porta della fortificazione è rivolta proprio verso Porta Salvoni: voi volete che in 700 anni di storia lì sotto non ci sia nulla? Perché Palazzo Salvoni ha un lato inclinato? Perché evidentemente ha sfruttato un muro esistente… Io continuo ad esser contrario all’abbattimento dei due palazzi”. Chiosa con l’architetto Emilio Corsaro, vicepresidente della’Istituto di cultura urbana Tetraktis, che sul finire del dibattito è stato quello che ha ricondotto a unicum la pluralità degli interventi e non solo da addetto ai lavori: “Abbattiamo i palazzi Adamoli e Salvoni  e di quanto possa servire per avere una conoscenza più ampia di quello che c’è sotto , di quel frammento di città, poi dopo quello che si può fare intorno, di ricucitura urbana, si può fare anche dopo”. Pensare tutte le soluzioni ma non “cristallizzare il monumento perché questo, come altre esperienze archeologiche teramane, porta all’abbandono e alla dimenticanza, perché la città non vive più quegli spazi, perché sono chiusi e questo li allontana dal cuore dei cittadini”